Indirizzo strategico
Seguire una direzione, per l'azienda, è fondamentale. Generalmente questo aspetto diventa tanto più rilevante quanto è maggiore la dimensione dell'organizzazione ma, credo, prima viene raggiunta su tutta l'azienda una piena consapevolezza, prima tutti gli attori coinvolti potranno remare nella stessa direzione.
nota: i numeri tra parentesi fanno riferimento allo standard ISO 9001:2015, per chi volesse approfondire.
La costruzione di questa direzione nasce da un punto, la vision, e finisce con i programmi (6.2), passando per mission e politica, intersecata a vari livelli da contesto (4.1), parti interessate (4.2), analisi dei rischi (6.1) e obiettivi (6.2).
Definire un indirizzo strategico è fondamentale per diversi aspetti:
- aumenta la prospettiva verso il quale si opera, ponendo le decisioni in un orizzonte più ampio;
- diminuisce il rischio di scelte contrastanti tra diverse persone o reparti dell'organizzazione, essendo guidati dagli stessi principi e proiettati verso gli stessi obiettivi;
- costringendo ad una pianificazione permette anche una analisi dell'andamento dell'azienda, ovvero a correggere le azioni intraprese con una maggior consapevolezza e, possibilmente, basando il processo decisionale su evidenze oggettive (0.2).
Sono argomenti in bilico tra l'astratto e la concretezza, tra l'oggi e il domeni. Presentarli ai clienti richiede di essere concreti negli esempi ma allo stesso tempo non perdere una visione più ampia, ovvero rischiando di avere un approccio troppo pragmatico ma senza la forza di alzare l'asticella o lanciare la palla avanti. Qualche (mio) pensiero su questi elementi.
Mission e Vision
In un'immagine:
"Chi siete... cosa fate... cosa portate... sì ma quanti siete... un fiorino"
Negli anni ho sentito diverse versioni di mission e vision. Ma, in sostanza, ci dicono dove va un'azienda e perché. Per qualcuno potrebbe non essere una priorità ma solo un vezzo motivazionale o di marketing. Dal mio punto di vista sono invece concetti di profonda importanza per un'azienda: rendono chiaro da che parte si sta puntando. E se la loro applicazione è più spesso verso l'esterno (marketing), credo che l'aspetto più forte sia quello interno.
Se tutti i collaboratori remano assieme nella stessa direzione è perché è chiara la direzione (e qualcuno tiene il tempo).
Se le scelte che ogni giorno si è chiamati a fare nel contesto aziendale sono coerenti, è perché sono chiare le priorità, i principi. Sicuramente ci può essere chi rema contro, o chi non è perfettamente allineato. Ma quando la direzione è chiara, le deviazioni saltano all'occhio.
Per avere un valore dal punto di vista interno, devono però essere supportate da un aspetto fondamentale: la coerenza. Se non c'è coerenza tra il messaggio e le azioni di chi si trova più in alto nell'organizzazione, mission e vision non solo perdono di rilevanza, ma risultano demotivanti e un alibi a non fare perseguire le attività nel modo più efficace (per l'azienda) ma come risulta più comodo (per la singola persona).
Credo che l'esempio sia l'arma principale per chi si trova in una posizione di leadership.
Sempre sul lato della coerenza, una discrepanza che spesso ho osservato è relativa ai valori dichiarati e quelli richiesti ai lavoratori. Se all'esterno dichiariamo "il cliente viene al primo posto" e all'interno pretendiamo, come primo obiettivo (o principale), la redditività o la marginalità, cosa verrà fornito al cliente nel giorno in cui la coperta sarà troppo corta per offrire quanto richiesto? Un lavoratore dai sani principi e orientato al cliente cercherà di trovare la soluzione migliore per entrambe le parti, ma uno anche solo pigro percorrerà la soluzione che limiterà i problemi (interni).
Politica
Credo sia il documento più bistrattato di ogni sistema di gestione. Un documento obbligatorio (5.2), del quale la direzione si domanda "a cosa serve?".
Serve. Ma solo se è coerente con l'indirizzo strategico dell'azienda. La politica non è altro l'evidenza (nero su bianco) degli impegni della direzione, ovvero quello che si intende perseguire (con la base di mission e vision) e, come dice la norma stessa, il punto di riferimento per la definizione di obiettivi. Ovvero è il collegamento tra l'idea generale e la sua attuazione. Rendere evidente questi impegni permette a chi lavora per conto dell'organizzazione di avere un quadro più preciso e strutturato della direzione da perseguire, sempre che gli impegni scritti siano coerenti con la volontà della direzione. Altrimenti siamo allo stesso punto di prima: rischiano di diventare un documento dannoso che mina ulteriormente chi si trova in posizione di leadeship.
Contesto
Un'analisi del contesto accurata fa la differenza tra volontà e fortuna. Il mondo è complesso, il mondo del lavoro è complesso, veloce e, gli ultimi anni lo sottolineano fortemente, velocemente mutevole.
Partire da uno sguardo particolareggiato ma che abbracci tutti gli aspetti interni ed esterni dell'organizzazione è cruciale per costruire una base decisionale solida (anche se non pienamente deterministica).
Una buona parte di questa analisi in un contesto preesistente è già all'interno della testa dell'imprenditore. Spesso però non è completa. In particolare nelle piccole realtà l'analisi tiene difficilmente conto dei trend più ampi a livello macroeconomico o di mercato, per cui le novità vengono subite non solo perché non c'è la stessa capacità di investimento di un'azienda più strutturata, ma anche perché le novità non sono colte con i tempi giusti.
Come fare questa analisi, invece, secondo me, è un nodo ancora non risolto. Sono presenti metodologie che però tendono ad essere troppo sintetiche o troppo articolate. L'approccio che utilizzo negli ultimi anni prevede l'utilizzo di due metodi: il primo più discorsivo, per dare la possibilità di esplorazione a tutto campo senza imbrigliare il discorso in caselle precompilate o anticipare un giudizio semplificando a priori gli argomenti. Il secondo sintetico, per fornire risultati operativamente utilizzabili. Quindi una rilettura del tutto per vedere se gli aspetti resi in forma discorsiva e che possono apparire rilevanti sono presenti in qualche modo nel documento di sintesi.
Parti interessate
Per gli amici, stakeholder. Questo tema assume una rilevanza strategica nella gestione di un progetto mentre in una analisi aziendale può risultare dispersivo e, generalmente, per quel che vale la mia esperienza, difficilmente porta a spunti degni di nota. Non si può trascendere però dall'analisi delle parti interessate per avere un quadro del contesto completo e quindi efficace per la pianificazione.
Rischi e opportunità
In inglese risk. Le norme di sistema, nell'evoluzione più recente, richiedono che l'organizzazione utilizzi un approccio basato sulla gestione del rischio. Può sembrare una banalità ma, secondo me, è un cambio di paradigma abbastanza forte con il passato in cui, tra le righe, si chiedeva una minimizzazione più che una gestione. Per cui un sistema "maturo" coincideva per forza di cose con un sistema macchinoso e complesso perché ogni rischio non veniva compreso, valutato e gestito (che nella sua accezione più ampia può voler dire anche monitorato o accettato) ma si puntava sempre alla sua riduzione. Le opportunità inoltre derivavano, secondo la concettualizzazione di sistema precedente, da potenziali anomalie e non da, semplicemente, opportunità.
Se è chiaro che l'approccio basato sul rischio è una misura fondamentale per il miglioramento aziendale (nella misura necessaria e senza sovrastrutture), come arrivare ad uno strumento decisionale efficace è complicato.
Alcuni metodi di analisi derivano da settori in cui queste analisi venivano già fatte, ovvero da settori con numeri importanti (di conseguenza budget rilevanti) o ad elevata complessità (del prodotto o della catena di approvvigionamento). Ad esempio il settore automotive.
Ma quando vedo cercare di applicare il metodo FMEA o FMECA ad una analisi dei rischi (e delle opportunità) di un'organizzazione, mi sale un po' di malinconia. Perché sono strumenti di fino, da usare su processi o prodotti, e vengono applicati su contesti organizzativi più ampi. E creare un bel tabellone excel pieno di numeri e frasi, impossibile da leggere, mette spesso al riparo da critiche in fase di certificazione (nel senso che non possono dire che "manchi qualcosa"). Ma all'azienda, serve davvero?
Sempre per esperienza personale, e con riferimento alle piccole aziende (o a realtà di dimensioni maggiori ma con strutture semplici e limitate), si riesce ad ottenere di più attraverso una chiacchierata con l'imprenditore, facendo le domande giuste, tradotte poi in un testo discorsivo (in cui l'intervistato possa riconoscersi e quindi porre osservazioni o ulteriori spunti) ed infine un riassunto di quelli che sono i principali rischi e le opportunità più evidenti che l'imprenditore stesso decide di perseguire.
Gli strumenti, per essere utili, devono essere utilizzabili.
Obiettivi
Ovvero: rendiamo concreto l'indirizzo strategico attraverso la definizione di obiettivi e dei piani / programmi per perseguirli.
Credo che questa sia la parte più difficile per un'organizzazione, in particolare di medie e piccole dimensioni, per diversi motivi.
- Richiede di aver affrontato tutti i passaggi precedenti in modo esaustivo e con strumenti che permettano di trarre delle conclusioni;
- Richiede che la direzione sia consapevole della propria influenza sul mercato (e di come il mercato può influire sulla propria organizzazione);
- Richiede, infine, che la direzione abbia la volontà di determinare un percorso di crescita e non di crescere se le opportunità si presentino.
In particolare per quest'ultimo punto (che è intrinsecamente unito al secondo) è importante che l'imprenditore abbia chiaro dove voglia arrivare, o almeno provare ad arrivare. Se manca una chiara visione della prospettiva dell'azienda, gli obiettivi saranno sempre limitati e limitanti. Spesso mi sono trovato di fronte a realtà ferme da anni, non tanto per la mancanza di potenziale, ma per la mancanza di una spinta programmatica di crescita.
Il che può portare a non avere abbastanza le spalle coperte in periodo di crisi, o ad essere, nel medio periodo, sopraffatti da nuove realtà che, nel loro percorso di crescita, hanno sviluppato o adottato nuovi e più efficaci metodi di lavoro, tecnologie. Comporta anche, per le piccole imprese, la difficoltà a tenere persone con elevato potenziale e voglia di mettersi in gioco in quanto saranno sempre attratte da realtà in crescita e che permetteranno loro di crescere (non solo economicamente).
Allo stesso tempo è chiaro che un'azienda, senza forti trasformazioni, non può crescere per lunghi periodi, limitata da struttura, mercato locale o altri fattori.
Qualche anno fa un cliente che produceva mattoni mi ha spiegato che nel loro mercato ogni fornace aveva un raggio massimo (salvo rare commesse particolari) entro il quale operare: oltrepassare certe distanze significava avere costi di trasporto troppo alto e, di conseguenza, perdita di competitività. Aver chiaro quale sia la massima dimensione aziendale prima di dover affrontare cambiamenti strutturali (nuova sede, acquisizione, fusione, diversificazione) è, secondo me, imprescindibile per la definizione di obiettivi realizzabili e che possano accompagnare la crescita aziendale.
Altro requisito fondamentale per fissare degli obiettivi concreti è avere ben chiaro che cosa sia un obiettivo.
Obiettivo: risultato da conseguire. (ISO 9000:2015)
A volte viene confuso con un traguardo intermedio, a volte con la strategia per conseguire un obiettivo, altre ancora è troppo generico per poter garantire una pianificazione efficace ed una misura del suo livello di raggiungimento.
Sicuramente dovranno essere rivisti e rivisionati periodicamente, sulla base di quello che effettivamente si riesce a raggiungere ma anche per le mutevoli condizioni del contesto.
In conclusione
Tutte queste parole per descrivere dei concetti alti, di visione aziendale. Per poi scontrarsi con la pragmaticità delle difficoltà aziendali, con i limiti di visione di alcune figure chiave o anche contro chi vede i sistemi di gestione più come uno strumento di controllo che come un insieme di strumenti di pianificazione e controllo.
Credo che una realtà aziendale possa andare avanti anche senza dare una forma organizzata a tutte queste considerazioni. Quello che cambia è la probabilità di farcela e di affrontare i cambiamenti che prima o poi arrivano, anche solo per il ricambio generazionale. Poi è anche una questione di fortuna: si può solo ridurre l'aleatorietà.
La complessità difficilmente ha risposte semplici e difficilmente è risolvibile con approcci non interdisciplinari. La bravura di chi affronta questi problemi sta nel trasmetterli nel minor numero di parole. Temo di non esserci riuscito.
Complessità è una parola che ultimamente viene usata a sproposito. Ma ricordiamo che deriva dal latino complexus, ossia stretto, intrecciato insieme: significa che le varie dimensioni non possono essere separate: nella vita quotidiana di milioni di persone ciò implica l’impossibilità di semplificare queste interconnessioni. (Mauro Ceruti)
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L'articolo è stato scritto secondo i principi dello slow web, bevendo una buona birra e ascoltando una sessione musicale analogica.