La sostenibilità non è importante
Ma è, semplicemente, l'unica cosa conta.
A novembre ho avuto l'opportunità di tenere una mezza lezione all'Università di Venezia su sostenibilità e industria 4.0. La stessa lezione che ho tenuto anche l'anno precedente.
Rivedendo le slide, però, mi sono accorto che mancava un aspetto importante: l'urgenza.
Allora ho rivisto la presentazione e i contenuti cercando di mettere maggior pressione su chi ascoltava: se non si mette la sostenibilità al centro, tra qualche anno, pagheremo un dazio più alto di quello che saremo comunque chiamati a pagare. Perché è già tardi.
Ho volutamente tenere un registro verbale tra il realistico e il pessimistico perché, credo, non stiamo facendo abbastanza. O forse perché, semplicemente, si ritiene che siano gli "altri" a dover far qualcosa e che il nostro contributo non sia significativo.
Credo, invece, che ogni contributo (positivo o negativo) sia significativo ai fini della sostenibilità. Che dietro questo concetto, sostenibilità, siano presenti delle opportunità da cogliere, non in quanto possibilità in sé positive ma per uno scopo più ampio e a lungo termine.
Negli ultimi anni la parola sta prendendo sempre più spazio nel nostro quotidiano, però ho l'impressione che chi parla di sostenibilità, spesso, non abbia a cuore il tema ma, semplicemente, cerchi di raccogliere quello che la moda offra, con una visione nel breve periodo. Che è l'esatto opposto di quello che la sostenibilità offre come prospettiva.
Per cui nei prossimi anni, oltre che di sostenibilità, sentiremo sempre più parlare anche di greenwash (ecologismo di facciata). Puntare su alcuni aspetti senza coglierne il disegno complessivo rischierà di ritorcersi contro, almeno in termini di reputazione.
Ma nel concreto, cos'è la sostenibilità?
"Sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni". Bruntland Report Our common Future (1987)
In ambito ambientale, economico e sociale, è il processo di cambiamento nel quale lo sfruttamento di risorse, il piano degli investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali sono tutti in sintonia e valorizzano il potenziale attuale e futuro al fine di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell'uomo (questa spiegazione la trovate su wikipedia).
Ecco perché la sostenibilità è l'unica cosa che conta: perché racchiude in sé tutti gli aspetti da considerare per uno sviluppo duraturo e socialmente responsabile.
Ci sono alcuni aspetti che saranno cruciali nel prossimo futuro (per non parlare del presente) per poter effettivamente parlare di sostenibilità. Però, prima bisogna chiarire alcuni concetti.
Qualche principio
- La sostenibilità si basa su tre pilastri: business continuity, persone e ambiente. In assenza di uno di questi tre aspetti non si può parlare di sostenibilità per la società umana (se togliamo le persone e i loro affari, credo che il mondo se la potrebbe cavare egregiamente anche da solo).
- Lo scopo della società è di evolvere, lo scopo di uno sviluppo sostenibile è quello di poterlo fare il più a lungo possibile (un giorno, anche se non lo volgiamo, questo pianeta morirà). Risparmio energetico, riciclo, piani di sviluppo, salute e sicurezza sono strumenti. Ricordarsi del perché facciamo alcune cose permette di prendere scelte più consapevoli.
- Viviamo in un mondo complesso, sempre più veloce e competitivo, ultimamente caratterizzato anche da una forte polarizzazione. La sostenibilità non sarà semplice da raggiungere anche perché è difficilmente un argomento condiviso (in particolare nella sua applicazione che esige, quasi sempre, un prezzo).
- L'unico modo per parlare di sostenibilità, nel mondo reale, è quello di analisi del ciclo di vita. Su questo argomento siamo estremamente indietro, sia come analisi, sia come mantenimento delle valutazioni (nonostante gli strumenti ad oggi siano molto evoluti).
Alcune chiavi di sostenibilità
Piantare alberi
Abbiamo bisogno di più alberi. Punto.
Non è solo un discorso legato alla cattura della CO2, ma anche per la lotta alla desertificazione, mantenimento della biodiversità, il ciclo dell'acqua e chi più ne ha più ne metta.
Alcune iniziative, come Treedom, unisce la componente ambientale a quella sociale. Altre aziende, come Wituka (t-shirt) associano ad ogni acquisto un importo per la piantumazione di alberi (1 tee = 1 tree).
Per capire che impatto può avere sostenere la piantumazione di alberi, consiglio di dare un occhiata a quello che ha creato il fotografo brasiliano Sebastião Salgado con il suo Instituto Terra.
Responsabilità sociale
Per alcune aree del mondo questo equivale a fornire dei salari e delle condizioni di lavoro minime. Per le aziende del mondo occidentale la responsabilità sociale ha ambizioni più alte, riassumibili come il benessere psicofisico dei lavoratori e della comunità. Essere una impresa riconosciuta per la ricaduta sociale positiva sarà sempre più una discriminante agli occhi dei consumatori. Avere una comunicazione proattiva per mostrare il proprio impegno sarà il sogno di ogni strategia di marketing, ma una temibile arma a doppio taglio se alla comunicazione non sarà associata una piena politica di responsabilità sociale.
Tra le azienda che secondo me meglio incarnano questo spirito c'è Patagonia.
Riparabilità e durata
Una nota canzone sintetizzava in "produci - consuma - crepa" la spinta consumistica. Nei decenni passati ci si è affidati al concetto di recupero, dimenticandosi completamente del più nobile riutilizzo, anzi, spesso ostacolandone la possibilità (ad esempio con l'obsolescenza programmata, o prodotti progettati per impedirne la riparazione o l'aggiornamento o addirittura il funzionamento di una sua parte). Sono convinto che la riparabilità non diventerà solo una possibilità ma sarà una necessità: il ciclo dei rifiuti, allo stato attuale, non è sostenibile e questo porterà ad uno scontro con le aziende che puntano a prodotti di consumo, ovvero da sostituire dopo un certo tempo. Alcuni movimenti stanno portando in alto l'attenzione su queste problematiche (che non sono solo legate alla possibilità di riparazione ma anche alla possibilità di gestire la riparazione con terze parti, per evitare politiche sui ricambi che ne sfavoriscano comunque la convenienza degli interventi).
Legata alla riparabilità c'è la durata sul mercato dei prodotti. Un esempio su tutti gli indumenti.
Tra il 2000 e il 2014 la produzione di abiti a livello globale è raddoppiata e il numero di capi acquistati è cresciuto del 60% (ricerca di McKinsey & Co). Non solo, la durata media di questi capi si è invece dimezzata e ci siamo abituati a trattarli come prodotti quasi usa e getta. Chiara Bertoletti.
Il 40% dei vestiti comprati non si indossa mai e l'80% degli indumenti, in comunità europea, finiscono in discarica. Allo stesso tempo per produrre una t-shirt servono migliaia di litri d'acqua. Per questo sta crescendo il movimento slow-fashion che si pone gli obiettivi non solo di produrre capi sostenibili dal punto di vista delle materie prime e senza sfruttamento dei lavoratori, ma anche che possa durare nel tempo.
La sostenibilità ha un prezzo
Avere un business o un prodotto sostenibile, generalmente, ha un prezzo da pagare, almeno per l'utente finale. Quello che noi compriamo oggi è legato alla massimizzazione dei profitti e alla minimizzazione dei costi (una volta fissato lo standard qualitativo del prodotto). Il che equivale, spesso, a non considerare i costi necessari per avere processi e prodotti sostenibili (e a volte nemmeno nel rispetto dei requisiti minimi legali), perché non sono considerati un prerequisito ma al massimo un aggiunta per finalità di marketing.
Il modello economico di consumo nel quale siamo immersi, se deve scegliere tra un prodotto con un minor impatto sull'ecosistema ed un prodotto che non ha nemmeno considerato tale aspetto, sceglierà semplicemente quello che costa meno, il più veloce, il più vendibile. Attualmente i prodotti sostenibili sono legati a nicchie di mercato più attente a questi aspetti.
L'urgenza dei cambiamenti climatici però, sta cambiando le cose: gli stati non possono più permettersi di aspettare che il mercato si muova in quella direzione ma forzano la mano dal punto di vista legislativo (incentivi sulle rinnovabili, limitazioni sulle componenti pericolose etc...) per cui inevitabilmente i costi di ciò che compriamo salirà.
La sfida per le imprese sarà quella di minimizzare l'impatto negativo (tempi e costi) di questi cambiamenti: chi prima comincerà a ragionare su questi aspetti avrà un vantaggio competitivo perché, semplicemente, avrà avuto più tempo per agire sulla componente economica della sostenibilità.
Per esempio chi ha già effettuato investimenti dal punto di vista energetico, aumentando l'autoproduzione di energia elettrica e convertendo, dove possibile, il fabbisogno energetico su forme più sostenibili, risentirà generalmente meno delle fluttuazioni del mercato che in questo momento sono particolarmente importanti.
Tecnologia, informazioni e cultura
Per la sostenibilità nel mondo socioeconomico ci sono alcune sfide che dovranno essere affrontate:
- analisi dei dati coerenti e strutturati;
- l'aggiornamento dei dati;
- la riferibilità della catena di fornitura.
Fare una LCA è fondamentale, ma l'analisi deve essere portata avanti nel tempo, con misure il più specifiche possibile, che si aggiornano con l'evoluzione produttiva e di filiera. Le tecnologie legate all'industria 4.0 (automatizzazione della raccolta dati da macchinari, analisi su big data…) possono essere un valido supporto in questo senso.
La blockchain inoltre può inserirsi nella riferibilità della filiera aumentando la fiducia su quello che compriamo.
Infine, le informazioni da dare al consumatore: senza uno standard di riferimento per il prodotto sarà difficile capire come scegliere. Ogni produttore deciderà inevitabilmente di mettere in evidenza i punti di forza e nascondere le debolezze, portando ad esempio un potenziale acquirente, la casalinga di Voghera, tra una lavatrice ad alta efficienza energetica contro una a basso consumo d'acqua. Generando confusione più che agevolando il processo decisionale.
Oppure ci saranno prodotti vegani "cruelty free" senza pensare che (ad esclusione di pellicce o altri prodotti particolari) la maggior parte dei prodotti di origine animale sono sottoprodotti. Le pelli comunemente utilizzate per ricavare cuoio (bovino, ovino ed equino) derivano da macellazione per alimentazione per cui dovrebbe essere considerato un recupero più che una pratica crudele (almeno fino a quando il mondo accetterà la macellazione di animali per alimentazione).
Coerenza
Chiudo con l'ultimo aspetto. Si può e si deve parlare di sostenibilità. Si deve cominciare però a pretendere che chi ne parla dimostri in prima persona di crederci e di fare qualcosa.
Per anni mi sono raccontato che la mia sostenibilità era legata all'impatto che posso avere con i miei clienti (occupandomi principalmente di ambiente e sicurezza, ma anche di business continuity). Però questo è un po' poco e un po' troppo facile.
Il mio impatto principale, dal punto di vista lavorativo e ambientale, è legato agli spostamenti in auto per andare dai clienti. Dal 2022 ho sottoscritto un abbonamento che mi permette di compensare la CO2 emessa con la mia vettura per il lavoro. Non sarà risolutivo ma almeno è un inizio, di coerenza.
Avrei potuto portare molti altri argomenti ma ho cercato di sintetizzare gli aspetti principali. Avrei potuto dividere il pezzo in tanti piccoli articoli da spammare sul web ma preferisco aprire e chiudere un discorso.
Nell'articolo sono citate alcune marche: lo faccio di mia spontanea volontà senza ricevere alcuna remunerazione (anzi, di solito sono io che do loro dei soldi).
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Per la stesura del pezzo mi sono fatto supportare da Tommy Guerrero come colonna sonora.