Supply fail

Disclaimer: come molti testi che scrivo, dall'idea alla pubblicazione passano mesi. Questo articolo, in particolare, è stato pensato nel 2021, abbozzato a gennaio 2022 e nei mesi successivi aggiornato, viste le costantemente mutevoli condizioni, ma anche il dialogo con i clienti, che aggiungono elementi e considerazioni.

Credo sia sotto gli occhi di tutti che le politiche di approvvigionamento, nell'economia occidentale, siano fallite miseramente di fronte a due eventi straordinari (una pandemia e una guerra in Europa) ma anche minori come il blocco del canale di Suez. Eventi non impossibili (e nemmeno così rari).

Il problema non la crisi una catena di fornitura specifica. Tutte le filiere hanno o stanno avendo serie ripercussioni.

I punti di crisi sono spesso gli stessi e riassumibili in:

  • catene molto lunghe (sia come numero di passaggi, sia come dislocazione spaziale);
  • elementi critici con concentrazione mondiale degli attori (es. chip, nichel);
  • problemi legati all'energia in stati che non sono autosufficienti (e di molto) dal punto di vista energetico.

Oltre a questi problemi, strutturali, il conflitto russo-ucraino ne ha evidenziato un altro, spesso poco preso in considerazione per motivi di mera convenienza nel breve periodo: la reputazione.

Essere vincolati ad un paese che sai che potrebbe fare azioni che sai che comporteranno problemi su quello che sai essere cruciale per le tue attività, deve sempre essere mitigato per tempo. Anche se quel paese è, nel breve periodo, un ottimo sbocco commerciale.

Senza per forza annegare nei meandri della geopolitica, restando sul piccolo. Se un fornitore chiave ha noti problemi dal punto di vista ambientale, di sicurezza o del lavoro, non adoperarsi per trovare alternative o per risolvere il problema del fornitore è miope. E se l'organizzazione ha nella reputazione uno dei suoi asset principali, quanto facilmente può essere intaccata da problematiche della catena di fornitura?

Eppure abbiamo costruito la ricchezza occidentale su scambi asimmetrici, riducendo la sicurezza e le tutele dei lavoratori (esteri) per avere prodotti più economici ed abbandonando completamente alcune linee produttive (un esempio banale, il problema delle mascherine ad inizio pandemia, che prima dell'emergenza venivano prodotte globalmente per il 50% in Cina).

Il futuro

Qualcosa si sta già muovendo. Ad esempio Intel comincerà a produrre in Europa e nel vecchio continente si cercherà di avere un ruolo più rilevante, almeno per la domanda interna, sui semiconduttori.

Ma qualsiasi azione comporterà, per forza, un aumento dei prezzi e una conseguente contrazione della domanda. Quello che dovrà, a mio avviso, essere perseguito, non è solo rivedere la catena di fornitura ma anche le politiche sui prodotti realizzati.

Se i prodotti costano di più e se le materie prime sono comunque scarse, perché viviamo in un continente abbastanza povero degli elementi che sono centrali oggi, sarà necessario concentrarsi su tre aspetti:

  • economia circolare
  • riparabilità
  • modularità

Economia circolare

L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.

Per anni abbiamo basato lo sviluppo sul concetto del riciclo come elemento sufficiente per uno sviluppo sostenibile (almeno dal punto di vista della materia). Ci si è posti il problema della riciclabilità dei materiali senza entrare nella questione del come e del perché.

In un prodotto, avere un componente in materiale riciclabile non significa che il componente possa essere riciclato.

L'intervento necessario non è quindi solo tecnologico (sui materiali o sui processi di riciclo) ma anche di design: il prodotto complesso deve poter essere agevolmente scomposto nei suoi elementi per poi essere reinserito nella filiera che dovrà essere progettata per utilizzare materiali riciclati che potrebbero avere prestazioni assolute inferiori.

Riparabilità

La normativa comunitaria e nazionale non mette al primo posto il riciclo. La prima opzione è, e sarà sempre più importante, evitare di produrre rifiuti (con conseguente risparmio di materia ed energia). Per cui i prodotti non dovranno essere solo longevi ma anche riparabili. Il mondo dell'informatica (per fare un esempio) ha, negli ultimi 20 anni, perseguito modelli di business basati su una rapida obsolescenza dei prodotti, ostacoli sulla riparabilità dal punto di vista tecnico o antieconomicità della stessa (per cambiare un singolo componente è richiesta la sostituzione di un blocco molto più grande).

Progettare e distribuire prodotti riparabili sarà una sfida per il futuro, anche perché negli ultimi anni è stato eroso il tessuto produttivo legato alle riparazioni, essendo mancata l'economicità di tali operazioni.

Modularità

La produzione secondo standard e protocolli definiti permette di avere prodotti intercambiabili e sistemi che possono essere espansi anche con elementi di produttori differenti, garantendo la continuità anche nel caso di chiusura di una azienda.

Esistono già alcuni settori con aspetti consolidati (ad esempio le dimensioni degli elettrodomestici hanno misure standard), altri in cui i protocolli sono più diversificati (domotica) costringendo i consumatori a scegliere una famiglia di prodotti.

Ultime considerazioni

La ricerca dell'ottimizzazione dei sistemi produttivi ed economici ha, nel tempo, eroso e reso più fragili gli ecosistemi. Come in natura, un ecosistema con poche specie è più fragile perché basta intaccare meno elementi per sbilanciare gli equilibri. Allo stesso tempo un numero elevato di interazioni (e specie) non è garanzia di stabilità, ma sono necessari un certo ordine e gerarchie per rendere il sistema robusto e meno fragile. Ci sono comunque evidenze che complessità e stabilità sono positivamente correlate.

Additional results of this analysis are that stability generally requires a degree of intraspecific interference on the part of some consumer species, whereas interspecific interference tends to exert a destabilizing influence. Yodzis, P. The stability of real ecosystems. Nature 289, 674–676 (1981)

Alcune specie raggiugono inoltre quello che viene chiamato cappio evolutivo. Io credo che il nostro sistema economico abbia raggiunto questo stato, in cui basta togliere o indebolire ulteriormente un elemento per far crollare tutto.

Un ecosistema robusto, con molte specie, probabilmente non può considerarsi ottimale nell'allocazione delle risorse, ma avrà un grado di resilienza maggiore.

Per le aziende significa avere piani B, differenziare non solo dal punto di vista delle vendite ma anche per le catene di approvvigionamento. Con un aumento dei costi che può essere visto come una assicurazione sulla business continuity.

Per gli stati significa favorire la nascita e la crescita di nuove aziende, contrastare i monopoli, garantire una distribuzione delle dimensioni aziendali che non sia sbilanciata verso pochi grandi player ma nemmeno, come il caso italiano, verso sole piccole aziende e microimprese, che hanno un potere di investimento molto limitato (con ripercussioni sulla salute e sicurezza dei lavoratori, ma anche sulla possibilità di sviluppare processi digitalizzati, sostenibili e duraturi).

Infine sarà fondamentale mitigare gli effetti causati dalla concentrazione e dalla rarità di alcuni elementi.

Ad esempio:

A questo si aggiunge il cambiamento climatico, del quale sembra ci si sia dimenticato ma che dovrebbe essere al (o meglio, il) centro delle politiche nazionali.

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