Un viaggio di qualità
Premessa
Con questo post comincia un viaggio attraverso il mio lavoro: dal primo contatto con il possibile cliente alla certificazione di un'azienda, cercando di metterne in chiaro tutti gli aspetti.
Tutto quello che scrivo rispetta la mia opinione e la mia personale esperienza: anche quando userò l'indicativo, anche quando non scriverò "secondo me", sarà comunque il frutto del mio ragionamento e non uno studio scientifico. Se c'è uno studio, lo cito.
I motivi sono diversi: il primo è che ripercorrere step-by-step tutti i passaggi e scriverli nero su bianco mi permette di avere uno sguardo migliore su quello che faccio.
Il secondo, molto più ambizioso, è quello di mettere un po' di luce su un settore che, dopo aver vissuto la sua epoca d'oro (ovviamente io sono arrivato quando era già finita) si è sputtanato (sono in cerca di un sinonimo ma non trovo nulla che abbia lo stesso significato chiarificatore) con le sue stesse mani. Tematiche che, se affrontate nel modo corretto e con la dovuta serietà da parte di tutti gli attori coinvolti porterebbe, di questo ne sono sicuro, grossi vantaggi a tutto il tessuto produttivo.
Sputtanato: agg. [part. pass. di sputtanare], volg. – 1. Che ha perso di credibilità, che è compromesso in modo irrecuperabile, che non gode più della stima altrui
Il terzo motivo è legato alla mia esperienza sull'argomento: all'università (ho frequentato un esame di sistemi di gestione e, posso affermarlo con una certa serenità, è stato uno dei corsi peggio presentati di tutti i cinque anni) e sul lavoro. Il tema può essere anche affascinante se viene presentato con la giusta luce, ma non è quello che succede abitualmente.
Questo articolo verrà aggiornato con i vari capitoli che scriverò in futuro, così da mantenere l'indice degli argomenti.
- Una partita a carte coperte
- Indirizzo strategico
- Decisioni
- Competenze (a breve, spero)
Una partita a carte coperte
Il primo contatto.
Giocare a carte coperte è, in ambito lavorativo, controproducente (anche se nel breve periodo potrebbe essere favorevole). Non definire chiaramente gli obiettivi e le criticità comporta, durante lo sviluppo del progetto, la revisione delle attività programmate e, spesso, la delusione delle aspettative.
Però è quello che succede durante il processo di definizione del contratto, in cui entrambe le parti cercano di mettere più luce possibile sui propri punti di forza (dell'organizzazione e del consulente) non dichiarando quelli che possono essere i punti di debolezza, i dubbi, le reali motivazioni.
Ci sono, secondo me, alcuni aspetti che devono essere chiaramente esplicitati, nella fase preliminare, per capire se il rapporto di consulenza può partire e in che modo.
Perché ci si vuole certificare, davvero.
Negli anni ho sentito molte motivazioni diverse, riassumibili in questi macrogruppi.
- La qualità non serve a nulla, ma un cliente / bando / contesto me lo impone. Se il cliente, possibile, dichiara in questo modo le proprie "motivazioni", si è di fronte almeno ad una persona sincera (anche perché una motivazione ad un livello più basso non c'è). A questo punto si apre un bivio: fornire la documentazione minima necessaria per la certificazione oppure progettare un percorso adeguato, per provare a dare comunque un valore aggiunto al cliente.
- Mi serve la certificazione ma vorrei anche cogliere l'occasione per migliorare i processi. Questa è la risposta, secondo me, più critica (e forse la più comune). Può nascondere anche un fondo di verità, ma c'è il rischio che, alla fine, quello che conta per il cliente sia solo la certificazione e non riesca a dare il giusto peso al miglioramento dei processi. Il problema è per chi aiuta ad implementare il sistema, con delle aspettative di collaborazione più alte, perdendo tempo in riunioni, discussioni o altri tentativi di coinvolgimento, che però non portano risultati.
- Voglio la certificazione per mostrare quanto impegno c'è stato nella nostra azienda. Solo che, a volte, la percezione di se non è coerente con la realtà. Però è un buon inizio (se si prendono con il giusto spirito le eventuali criticità che possono emergere durante l'attività).
- "Non so se mi serve la certificazione... cosa mi consigli?". Questo è un cliente mitologico. In realtà questa consapevolezza può nascere dopo la prima certificazione, ma partire con questo piede è un buon inizio.
Perché a volte la risposta corretta è: non ti serve la certificazione.
Serve la certificazione?
Sì, se uno dei principali clienti la chiede.
Sì, se vuoi accedere ad alcuni mercati (bandi pubblici, accreditamenti vari etc..).
Probabilmente sì, per riuscire a prendere alcuni clienti (multinazionali, grandi imprese, mercato nordeuropeo, Medioriente) ma potrebbe essere richiesta in un secondo momento.
No, per migliorare la tua visibilità sul mercato nazionale. Il fatto che per molte aziende la certificazione sia, di fatto, obbligatoria (ad esempio per gli appalti pubblici su costruzioni) e che l'Italia è una nazione con un tessuto produttivo votato all'esportazione (spesso i clienti esteri richiedono o spingono alla certificazione qualità). Per cui l'Italia è, dopo la Cina, il secondo paese al mondo per certificazioni qualità (ISO - The ISO Survey).
Se da un lato chi vuole la certificazione dovrebbe dichiarare le reali intenzioni, dall'altro chi si propone di farla dovrebbe mostrarne le reali potenzialità.
Probabilmente no se produci un prodotto o un servizio per il consumatore finale: la certificazione qualità non è una certificazione di prodotto e per il consumatore finale è più semplice dare valore ad un bollino che esalti le proprietà di quello che compra, non di quello che l'ha prodotto.
Serve un sistema di gestione per la qualità?
Sì.
O meglio, ogni azienda ha il proprio sistema di gestione, più o meno formalizzato, più o meno coerente, lineare o caotico, omogeneo su tutti i processi aziendali o approfondito solo su alcuni aspetti. Avere un sistema secondo la norma ISO 9001 non significa stravolgere il proprio modo di lavorare, ma, semplicemente, renderlo ordinato. La norma non definisce come debbano essere fatte le cose, ma divide gli aspetti aziendali in una serie di argomenti e per ogni argomento ne definisce dei requisiti, degli aspetti da considerare. Nel caso in cui si voglia ottenere la certificazione, semplificando di molto, bisogna poter dimostrare a terzi cosa è stato fatto.
La norma non è un metodo, ma un framework (quadro strutturale) spinta da alcuni principi (ISO 9001:15 sezione 0.2):
- focalizzazione sul cliente;
- leadership;
- partecipazione attiva delle persone;
- approccio per processi;
- miglioramento;
- processo decisionale basato sulle evidenze;
- la gestione delle relazioni;
e in cui le azioni sono pianificate e attuate con un approccio basato sul concetto di rischio (risk based thinking, ISO 9001:15 sezione 0.3.3).
Semplificando di molto la norma ISO 9001 contiene una serie di frasi (requisiti) generali e di buonsenso che tutte le aziende dovrebbero tenere in considerazione. E non va in contrasto con metodi di produzione (es. lean) o di pianificazione operativa (controllo di gestione) perché si ferma ad un livello più alto senza entrare nel merito della modalità di attuazione.
Questa premessa, serve ad arrivare al nocciolo della questione: se i requisiti sono solo di alto livello, cosa viene a fare il consulente per la qualità? E se l'applicazione può essere estremamente variegata, come posso valutare due preventivi differenti? O meglio: ha senso valutare due preventivi diversi per l'implementazione di un sistema di gestione andando oltre al mero prezzo, che tanto non so cosa sto comprando?
Scoprire la mano del consulente
A me piace giocare a carte scoperte, fin da subito. Anche con il rischio di perdere un lavoro. Lavorando anche su settori più legali (ambiente e sicurezza), conoscere il prima possibile (eventuali) problematiche aziendali è cruciale per la buona riuscita del progetto (o per la chiusura anticipata, o rimodulazione, con minimizzazione dello spreco di risorse). Per cui nell'eventuale incontro preliminare metto sul piatto (o ci provo) queste tre carte:
- il mio approccio documentale: usare tutto quello che l'azienda usa già e di volta in volta valutarne integrazione o sostituzione;
- alla fine del (primo) percorso il sistema non sarà completo e perfetto, ma sarà certificabile: prendere in considerazione tutti gli aspetti, studiarli, digerirli, applicarli, verificarli e migliorarli richiede anni anche per realtà poco complesse;
- le parti operative devono essere sviluppate con chi le utilizza: calare dall'alto documentazione o procedure, generalmente, non è la strada per il successo.
Che non è per forza la mano migliore da giocare, o l'approccio giusto per tutte le esigenze, però è il mio modo di affrontare la materia e quello che ritengo più adatto al giorno d'oggi. Ci sono consulenti o studi che usano un approccio più controllato, con una minor personalizzazione sui contenuti ma che usa modelli consolidati, probabilmente minimizzando il rischio di problemi in fase di certificazione ma rischiando di apportare strumenti ridondanti o poco ottimali (e che quindi dovranno essere rivisti radicalmente o rischiano l'abbandono).
Per me il sistema di gestione per la qualità deve essere trasparente rispetto alla gestione aziendale. Sarà per questo che negli ultimi anni, anche nei documenti, sto abbandonando la parola (generalmente ripetuta come un mantra) "qualità".
Ma quindi, quanto costa?
La domanda posta in questo modo è incompleta.
Quanto costa… arrivare alla certificazione? Avere un sistema di gestione completo? Maturo?
Per progettare un intervento corretto e funzionale agli obiettivi dell'azienda bisogna già lavorarci da anni e per avere un sistema maturo non basta un anno ma deve compiere qualche ciclo (generalmente annuale). Ma a definire un prezzo per la consulenza e la formazione bisogna arrivarci.
Per cui quello che succede è questo: c'è un prezzo di mercato e si cerca di starci dentro. Brutto da dire ma è la realtà. Ci sarà sempre chi farà un prezzo più basso (a volte troppo basso) e chi farà un prezzo più alto ma in entrambi i casi si rischia di uscire dal mercato perché, difficilmente, il cliente potrà valutare e pesare diverse proposte tecniche e, probabilmente, ha anche un budget limitato.
Questo non è un problema per la certificazione perché per ottenere il pezzo di carta basta avere un sistema completo (che copre tutti gli aspetti rilevanti) e sufficientemente rodato (ma non necessariamente evoluto od efficiente), con un piano di sviluppo chiaro.
Ci sono però alcuni fattori che potrebbero far cambiare i costi / prezzo. Il sistema di gestione per la qualità si applica per processi: un'azienda con un numero elevato di processi, processi speciali, fasi intermedie o in outsourcing e attività differenti richiede sicuramente un intervento più lungo. Anche avere più sedi potrebbe richiedere delle attività aggiuntive. In realtà complesse, inoltre, potrebbero essere richieste riunioni o incontri aggiuntivi a livello decisionale (nelle aziende più piccole le decisioni sono prese da una o due persone, per cui il processo di definizione della documentazione e dei processi è, generalmente, più snello).
E il contratto?
Questa parte può interessarti sia come cliente sia come professionista. Io scopro la mia mano.
Stiamo parlando di progetti, generalmente, di qualche migliaio di euro: non cambia la vita a nessuna delle due parti. Concordare un contratto complesso brucia risorse e non credo possa dare molti vantaggi. Secondo me (e secondo il buonsenso) i punti principali da considerare sono:
- Le fasi del progetto, a cui collegare i pagamenti o la possibilità di chiudere anticipatamente il progetto.
- Le modalità di pagamento: ad avanzamento, ad esempio mensile, o per fase. Il primo caso può andare bene quando la maggior parte dell'attività viene svolta presso il cliente, il secondo per attività importanti documentale non svolte presso il cliente.
- Le esclusioni: generalmente i contratti di implementazione non prevedono giornate di assistenza in verifica ispettiva. Ai fini della buona riuscita del progetto, prevedete la presenza almeno nella prima giornata di certificazione (generalmente chiamata stage 1) per poi valutare se sia necessaria la presenza nelle date successive o se l'azienda può proseguire in autonomia. Altre esclusioni possono riguardare la sistemazione di problematiche emerse durante l'implementazione (il caso più comune riguarda, ad esempio, i sistemi di gestione per la sicurezza e l'emergere di valutazioni dei rischi incomplete o inesatte).
- I diritti sui materiali prodotti / ricevuti.
- una clausola di riservatezza e confidenzialità (si trovano in rete senza problemi).
- La clausola risolutiva espressa, ovvero quando il contratto si può considerare risolto di diritto.
- Il foro competente (il primo che propone il contratto, sostanzialmente, gioca in casa in caso di controversie).
- Firme.
Due parole in più è il caso di spenderle sui diritti, e la fruibilità, dei materiali.
Salvo il caso di sistema costruito a tavolino nella mente del professionista, la documentazione prodotta nasce durante l'implementazione del sistema. Gli spunti arrivano da ambo i lati del tavolo, con una contaminazione di idee. Inoltre, salvo per l'utilizzo di software o file complessi, tutto il materiale è facilmente riproducibile perché si tratta di testo, qualche foglio Excel e poco altro (molte informazioni documentate cruciali delle aziende sono, al giorno d'oggi, all'interno di gestionali). Una pratica ancora in parte diffusa è quella di consegnare documenti in pdf, bloccati, che in realtà non proteggono il lavoro del tecnico ma ostacolano l'attività del cliente.
Se sei il cliente: richiedi i documenti in formato editabile (su software già posseduto o facilmente reperibile).
Se sei il tecnico che ha ideato la documentazione, è giusto che quanto è stato prodotto sia legalmente e moralmente una tua proprietà intellettuale.
L'equilibrio sta nel, contrattualmente, permettere la modifica della documentazione ma non permetterne opere derivate per la cessione a terzi (a meno che quello non sia proprio lo scopo del contratto ma che, probabilmente, avrà anche costi differenti).
Il primo incontro
Il primo incontro, di persona o (ormai sdoganato) online può avvenire (per esperienza personale):
- per fare l'offerta;
- per fare un sopralluogo a seguito di un primo contatto di un commerciale (e quindi preparare quella che in gergo si chiama "offerta tecnica");
- con il primo appuntamento per iniziare i lavori (se si lavora per uno studio o si fa l'attività per conto di un altro).
In tutti i casi quello che conta è costruire un rapporto di fiducia. Fondamentale per la riuscita del progetto è lavorare in trasparenza e fin da subito far emergere le criticità dell'azienda. Non è mai semplice ammettere i propri difetti ma se nascosti o omessi (anche solo perché ritenuti poco rilevanti) si potranno creare difficoltà con il proseguire del progetto.
Se il professionista lavora per uno studio con un ufficio commerciale, a volte il primo incontro avviene direttamente all'inizio dell'attività. Sempre di più negli anni però mi è stato chiesto di partecipare ad almeno un incontro perché l'azienda non vuole comprare l'attività a scatola chiusa ma vuole conoscere chi potrebbe fare il lavoro. L'incontro non è basato sulle competenze ma sulla percezione del consulente. Di solito in questa fase presento il mio modo di lavorare e non entro nel merito del preventivo (in Italia parlare apertamente di soldi non è ben visto) anche perché la trattativa viene effettuata tra il commerciale e l'azienda. Poi eventualmente c'è una trattativa secondaria tra il commerciale ed il tecnico.
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L'articolo è stato scritto secondo i principi dello slow web, bevendo una buona birra e ascoltando una sessione musicale analogica.